La Collezione del Museo Ettore Fico consta di oltre 300 opere di artisti giovani e storici.
A rotazione vengono esposte quelle che ben si inseriscono nella programmazione delle mostre del museo. In questa occasione abbiamo voluto proporre i giovanissimi autori che proseguono con la loro ricerca quella dello storico Serralunga e del moderno Fico. La pittura è ritornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni come ricerca di avanguardia e di riproposta di un sentimento intimo e personale da parte di artisti che non hanno abbracciato il filone più politico e sociale.
Le opere in mostra hanno molte caratteristiche in comune fra cui il grande formato, la proposizione di scene in cui mondi sognati e reali si interfacciano e dialogano fra loro. Mondi intimi e personali, al limite di una realtà inconfessata e pudica, erotica e sensuale, popolano con storie e personaggi immaginari le tele dai colori sempre decisi e tonali e sono state tutte realizzate negli ultimi dieci anni testimoniando un nuovo e rinnovato vigore della pittura oggi.
Le opere in mostra:
Guglielmo Castelli
- The Disobedience, 2019
- tecnica mista su carta
- 100 x 70 cm ciascuno
«L’approdo a un linguaggio personale è dato sicuramente da un percorso – ha dichiarato l’artista durante un’intervista – che parte da contaminazioni varie. Nel mio caso, avendo toccato vari mondi, dalla scenografia a quello della moda e illustrazione per l’infanzia, ho sempre sperato e tentato di inserire tutti questi aspetti all’interno della mia pratica.
L’esperienza porta poi a trovare una sintesi involontaria ma gestibile di questi elementi, e quindi ad avere un linguaggio più o meno maturo. Per quanto mi riguarda, la mia pittura è cambiata drasticamente negli ultimi anni: prima era ancora molto acerba, aveva ancora degli scostamenti e una necessità ancora legata a un’idea di figurazione fine a se stessa. Oggi posso dire che arrivo a essere un pittore figurativo partendo in realtà da un percorso di astrazione: solo discostandomi dalla tela, leggendola da una certa distanza ho capito inaspettatamente che quella figurazione era in realtà il risultato di un processo astratto, di una sorta di mappatura e unione di livelli cromatici, materia, rimozioni e trasparenze. […] Non so se tra un po’ di anni approderà a un’idea ancora più astratta».
Nebojša Despotović
- Kaka de Luxe (Party in a village), 2019
- acrilico e olio su tela
- 173 x 152 cm
Dipingere è una pratica, una ginnastica e un esercizio fisico, che si compie di fronte al vuoto della tela vergine su cui affiorano, a poco a poco, le immagini create dal colore e dalla composizione. Nebojša Despotović appartiene alla generazione attuale che, senza problemi, accomuna e assomma i grandi capolavori della storia dell’arte ad anonime immagini di Instagram. La tecnica della citazione non è presente nel suo lavoro, quella dell’appropriazione sì. Nel suo operare è intrinseca l’idea di impossessarsi di altre immagini che provengono da mondi e sistemi estremamente differenti. Innanzitutto è un artista informato. Tutta la possibile storia dell’arte appare nella sua opera in forma stratificata anche se non evidente, per intenderci, non è un citazionista, è un continuatore della “tradizione” in cui si collocano Picasso, Goya, Velázquez, Picabia, Munch, Tintoretto, Chagall, Bacon, Morandi, El Greco, Tuymans e tutti quegli artisti che, al di là della forma, lavorano anche sulla superficie pittorica in modo gestuale e materico, onirico e trasognato. Una pennellata che diventa un labbro o una foglia, percepibile come un segno, non solo come immagine, ma anche come gesto, è alla base della comprensione del lavoro.
Edi Dubien
- Disegni, 2024
- matita, acquarello e pastelli su carta
- 30 x 20 cm ciascuno
Edi Dubien parla nel suo lavoro della propria esistenza, ma anche del mondo, dei disastri, degli insuccessi e delle infinite possibilità dell’essere. L’artista scrive: «Tutte le opere sono collegate, dai disegni alle carte da parati, dalle tele alle sculture. Tutto riguarda il caos, l’infanzia, il genere, la natura, la resilienza e l’amore. Uso la mia storia come uno spazio di libertà. Parlo d’insieme, sono legato alla natura dalla storia della mia infanzia che ritrovo attraverso essa. Parlo di un animale così come di me stesso, parlo di una pianta così come di me stesso, parlo di nascita e di sconvolgimento. Parlo di un’esistenza da tutelare: dei bambini ma anche della natura, degli animali, di una parte di noi».
Alice Faloretti
- Paesaggio liminare, 2019
- olio su tela
- 140×160 cm
Alice Faloretti appartiene all’ultima generazione italiana e internazionale che ha ripreso il mezzo pittorico tradizionale come elemento principale della propria ricerca espressiva. Il mondo che ritrae è introspettivo e romantico, in cui elementi naturalistici vengono riproposti attraverso una rilettura neo-romantica e visionaria. Perlopiù boschi e zone lacustri sono i soggetti ritratti e l’assenza umana è un chiaro sintomo di post-umanità o pre-umanità. L’opera qui esposta appartiene alla primissima produzione dell’artista che ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia con il docente Carlo Di Raco, insegnante anche di Nebojsa Despotovic.
Alessandro Scarabello
- Muse in a Landscape, 2021
- olio su tela
- 171 x 124 cm
Alessandro Scarabello instilla nello spettatore un senso antitetico di spaesamento e di coinvolgimento, il suo fare pittura è al tempo stesso dentro e fuori l’opera, la sua implicazione è contemporaneamente costruita e inconscia e, per chi osserva la scena – perché di scena si tratta – appare come una performance in cui potremmo anche cadere, precipitare e partecipare, non solo come spettatori, ma anche come attori. La sua pittura è altamente canonica e per questo ingannevole; il tranello, in cui non si deve cadere, è quello della riconoscibilità, del credere nella veridicità della rappresentazione che, tra l’altro, attualmente si dirige sempre più verso un’astrazione gestuale e a forme disgregate. Il passato, la modernità e la contemporaneità, convivono nella sua opera in modo adeguato ai nostri tempi, scevri da pregiudizi e, al contempo, altamente radicalizzati, disinformati e super-connessi, conformi e liberi, in cui la cultura alta e bassa coesistono e l’artista assume un ruolo di “evidenziatore” e tutta la sua opera indica pregi e difetti della nostra esistenza e del nostro essere persone/personaggi coinvolti e partecipi della rappresentazione orgiastica/ascetica dell’esistere.
Alice Visentin
- Tago mago dei can, 2019
- tecnica mista su tela
- 165 x 130 cm
«Il contesto della mia terra è centrale nel mio lavoro. Spesso viene sorvolato – ci comunica l’artista in un’intervista –, se non trascurato completamente ma ci sono storie che ancora devono essere raccontate. I canti di dolore affidati al vento dalle donne in montagna, l’emancipazione tramite l’associazione spontanea e le storie narrate come forma di esorcizzazione alle paure della vita. Uno dei temi principali che sto esplorando in questo momento è la coesistenza delle piante e dei fiori nei boschi che mi aiutano a capire come poter tornare a vivere una vita comunitaria felice dopo il virus». E poi aggiunge «Sono profondamente influenzata dal realismo magico, quindi alcuni dei miei autori classici preferiti sono sicuramente Borges e Ernesto de Martino. La rivista di realismo magico creata da Jacques Bergier e Louis Pauwels del 1964, Planète, è per me fonte infinita di ispirazione».



