Marie-Claire Mitout ha soggiornato per oltre un mese in Piemonte dove ha realizzato le sue opere più recenti. In mostra sono esposte carte che ritraggono l’Abbazia di Vezzolano e la Sacra di San Michele, il Duomo di Asti e i giardini antistanti le Porte Palatine, il Museo Egizio e le colline del Monferrato e molti altri ancora. Al visitatore il piacere di scoprire la totalità delle opere e dei luoghi italiani e piemontesi ritratti durante questo personale, privato e romantico Viaggio in Italia.
Le dimensioni delle tempere di M-C Mitout possono trarre in inganno le persone che hanno intercettato la sua opera pittorica esclusivamente attraverso la riproduzione in cataloghi, riviste o internet. La grandiosità e la profondità dei paesaggi o degli interni, popolati di figure o disabitati, appaiono come imponenti affreschi in cui lo sguardo si perde, non soltanto per l’abissale prospettiva, ma anche per i dettagli che si dissolvono nello spazio naturale o descrivono minuziosamente le volumetrie architettoniche dei luoghi chiusi. I colori, in alcune vedute, si stemperano in un caleidoscopico arcobaleno dove tutte le possibilità delle sfumature dell’iride vengono attivate per trarre in inganno la retina su cui si fissano.
La naturalezza delle chiome degli alberi, le colline che degradano verso un punto lontano dissolvendosi nell’atmosfera, le costiere marine di tutte le latitudini, i particolari dei soggetti principali che, per la loro precisione, spostano l’orizzonte verso il cosmo infinito in un liquefarsi languido e nostalgico, cooperano nell’inganno che l’artista è determinata a perpetrare nei confronti dello spettatore, facendo sciogliere lo sguardo in misteriose dimensioni che, da un’opera all’altra, non vengono disvelate e ci pongono nella condizione di interrogarci sulla loro reale estensione. Questi luoghi immanenti e incommensurabili sono realizzati su carte che equivalgono al formato del frammento pittorico, sono perciò piccoli quadri o grandi miniature? La loro intensità e forza sono misurabili in centimetri quadrati? La grandezza, la potenza e l’importanza di un’opera è data dal suo perimetro?
Un po’ come nelle trentasei opere conosciute di Vermeer – il cui formato trascende ogni possibilità di raffronto qualitativo con quadri come la Ronda di notte di Rembrandt dove i personaggi vengono rappresentati nella dimensione pressoché reale – le opere della nostra artista – simili e interscambiabili, ma non sostituibili nel racconto processuale di una vita scandita da giorni, ore e minuti – si assommano l’una all’altra, in un unico formato definito dal classico e internazionale formato Uni, delineando un regesto incalcolabile come i pioli della scala di Gioacchino su cui ascendono gli angeli al cielo per mettere in comunicazione il divino con il terreno.
La misura di queste carte, sempre la stessa (21×29,7) si contestualizza immediatamente nell’ambito della serialità e della reiterazione peculiare agli scrittori minimalisti.
Ritengo importante insistere sulla dimensione del formato perché è la regolarità che rende conseguente la lettura delle pagine (l’una di seguito all’altra) di un libro (diario?), così le opere, pur essendo mescolate cronologicamente, si possono leggere linearmente perché prodotte con lo spirito dell’atemporalità dei racconti riuniti in un’antologia. La scelta minimalista di questa regola, ricompatta le differenti atmosfere estetiche e rappresentate nelle singole opere, “rilegandole” idealmente in un unico quaderno, come pagine di un “diario minimo”, talvolta aneddotico, che ripropone la sequenza delle pagine di un “journal” o quelle di un romanzo a puntate dalla trama avvincente e misteriosa.