Archivio per: 2017

Il Museo Ettore Fico e la Casa Editrice Lo Scarabeo presentano un evento espositivo unico nel suo genere: i Tarocchi, dalla loro nascita in Italia intorno alla metà del Quattrocento fino ai giorni nostri, rivelati attraverso un ricchissimo repertorio di mazzi antichi e moderni, libri, stampe, documenti, immagini e testi – su oltre mille metri quadri di esposizione.

Si tratta di un vero e proprio viaggio “iniziatico” per raccontare i Tarocchi ogni loro aspetto: storico, artistico, letterario, di costume, magico, di consapevolezza, di crescita personale e spirituale in un allestimento coinvolgente, concepito per accogliere il visitatore e farlo viaggiare nel tempo.

Visitando le sezioni della mostra e con il supporto di materiale audiovideo e di applicazioni multimediali, grazie all’ausilio di una App creata appositamente per l’esposizione e dei QR Code presenti nel percorso espositivo, il pubblico vivrà un’esperienza personale, profonda e suggestiva.

In occasione del centenario della nascita di Ettore Fico (21 settembre 1917) il MEF presenta un’importante e completa retrospettiva a lui dedicata.

Oltre centosettanta opere tra olii, tempere e acquerelli, disegni e incisioni eseguiti dai prima anni Trenta al 2004, anno della scomparsa.

La produzione più significativa di Ettore Fico è qui raccolta in una mostra antologica che comprende sessant’anni della sua vasta produzione. Un omaggio a questo artista le cui tele parlano dei luoghi che più profondamente hanno segnato il suo percorso artistico ed esistenziale: Torino, Algeri, durante gli anni della prigionia in guerra, la Liguria, la Costa Azzurra e Castiglione Torinese, considerato il suo “buen retiro”.

La mostra si snoda attraverso un articolato cammino che consente di delineare gli aspetti di un dipingere che da Cézanne a Braque, da Bonnard a Monet a Matisse, si dispiega attraverso un colore intriso di luce e una linea forte e robusta.

L’esposizione propone gli aspetti più inediti e di ricerca del lungo percorso artistico di Ettore Fico, dalle esperienze astratte a quelle più geometriche, dalle impressioni delineate da microscopici tocchi di colore puro alle pennellate materiche e informali.

La pratica artistica multidisciplinare di Paolo Brambilla fa uso di processi speculativi e di permutazioni formali, assumendo o distorcendo diversi format produttivi e riproduttivi, allo scopo di indagare gli infiniti cicli di assimilazione, dispersione e trasformazione del prodotto culturale. In occasione della sua prima mostra personale in un museo, Paolo Brambilla presenta un progetto inedito realizzato appositamente per gli spazi del MEF.

In questa circostanza, l’artista considera la categoria stilistica del “capriccio” – un trattamento tematico ricco di trasformazioni e libere associazioni di momenti apparentemente slegati l’uno dall’altro – allo scopo di esplorare come immagini e informazioni storicamente stratificate potrebbero essere spogliate, esteticamente adattate e riapplicate in modo da costituire nuovi arcipelaghi e costellazioni di significati.

Capriccio presenta diversi ambienti totali composti da numerose tipologie di oggetti che spaziano da arredi modulari, a sculture amorfe, a impianti decorativi, indagando l’integrazione concettuale tra il tempo e lo spazio della finzione e le modalità di produzione estetica ed artistica.

Contrazioni e dilatazioni dello spazio e del tempo: non necessariamente visibili, ma possibili e quindi reali. Intorno a questa riflessione Agostino Bergamaschi struttura il progetto Superpassato, prima mostra personale nello spazio di un museo.

La ricerca di Bergamaschi parte dalle più svariate influenze della quotidianità. Elementi che scandiscono la sua vita di tutti i giorni – dalle letture, alle immagini dei maestri della storia dell’arte, fino alla facciata del palazzo dove lavora – sono interpretati e declinati in sculture e fotografie caratterizzate da una forte sperimentazione con i materiali.

Superpassato è una mostra realizzata con opere site-specific in dialogo con gli spazi del MEF.

L’artista è partito dai dettagli architettonici della struttura. Gli architravi, le intercapedini, il terrazzo rivolto verso la città, sono alcuni elementi da cui Bergamaschi ha tratto spunto per costruire un’installazione che, unendo scultura e fotografia, lega la dimensione e i riferimenti quotidiani dell’artista a quelli del museo.

Acciaio, vetro, gomma, legno: la conciliazione tra momenti differenti emerge anche dalla scelta dei materiali per le opere, provenienti da contesti lontani tra loro, in cui si uniscono senza gerarchia lavorazioni artigianali a procedimenti industriali.

Le opere di Cosimo Veneziano indagano il vasto universo di immagini del patrimonio sociale, architettonico e urbano. All’interno di tale linea, l’indagine sulla natura dei monumenti e sulla loro identità contemporanea è diventata uno snodo centrale della sua ricerca continuamente sollecitata dalle molteplici distruzioni operate da regimi terroristici e dai cambiamenti economici che hanno inaspettate e sorprendenti ricadute sul panorama urbano.

Partendo dal presupposto che l’installazione di un monumento nello spazio pubblico comporta la selezione di un “fatto storico” , di un “dio” o di un “personaggio” ritenuti cruciali per la comunità, l’artista si chiede quale peso possa avere la distruzione di un patrimonio riconosciuto come collettivo.

Quali effetti ha nel nostro immaginario e in quello dei posteri la “cancellazione” di monumenti in seguito ad azioni distruttrici come quelle avvenute in Siria, Libia o Iraq? E come vivere in un contesto caratterizzato da edifici improvvisamente divenuti vere e proprie architetture fantasma?

La mostra documenta la poliedrica attività creativa di Bruno Munari (Milano, 1907-1998), uno dei personaggi più significativi della cultura artistica internazionale del XX secolo.

Il percorso espositivo pone in evidenza la sua multiforme ricerca e l’originalità della sua sperimentazione offrendo alla fruizione del pubblico l’ampio arco delle sue operazioni creative (disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, libri illeggibili, nuove tecniche di riproduzione delle immagini, oggetti di industrial design, esperienze di grafica editoriale, architettura, nonché nuove proposte di pedagogia), solo per indicare le discipline più rappresentative all’interno del suo progetto di sintesi delle arti.

Un ricco fondo inedito costituito da un centinaio di fotografie e polaroid realizzate da Ettore Fico, a partire dai primi anni Settanta, viene esposto per la prima volta.

Le tematiche del paesaggio e del giardino, tanto care all’artista, vengono qui trattate grazie al nuovo mezzo fotografico (l’istantanea Polaroid con pellicole auto-sviluppanti) in primis quale valore documentaristico ma anche e soprattutto come nuovo mezzo espressivo a compendio della sua pittura.

Un modo ulteriore per rimarcare la sua cifra stilistica, anche con il nuovo mezzo fotografico, sempre in bilico tra astrazione e figurazione.