Archivio per: 2016

Un ricco fondo inedito costituito da un centinaio di fotografie e polaroid realizzate da Ettore Fico, a partire dai primi anni Settanta, viene esposto per la prima volta.

Le tematiche del paesaggio e del giardino, tanto care all’artista, vengono qui trattate grazie al nuovo mezzo fotografico (l’istantanea Polaroid con pellicole auto-sviluppanti) in primis quale valore documentaristico ma anche e soprattutto come nuovo mezzo espressivo a compendio della sua pittura.

Un modo ulteriore per rimarcare la sua cifra stilistica, anche con il nuovo mezzo fotografico, sempre in bilico tra astrazione e figurazione.

Eugenio Tibaldi, nato ad Alba nel 1977, dal 2000 al 2015 ha vissuto e lavorato nell’hinterland napoletano.

Dal 2016 si è trasferito a Torino per lavorare alla mostra Seconda Chance. Artista attratto da sempre dalle dinamiche delle aree marginali, sceglie di rappresentare la contemporaneità attraverso i luoghi periferici, di documentarli e studiarli in quanto defilati e poco amati, prescelti per i cambi culturali ed estetici, liberi dal peso della storicizzazione e di conservazione.

Seconda chance è frutto di una lunga permanenza di Tibaldi nel quartiere di Barriera di Milano, a Torino, esplorato nei suoi aspetti eterogenei: dalla storia, alla società, fino alla presenza architettonica delle vecchie fabbriche, da tempo nell’interesse dell’artista:

«Ho sempre pensato che l’architettura diventi una forma di arte nel momento in cui tradisce e sconfessa il progetto iniziale e comincia a vivere di vita propria sconfiggendo il binomio forma-funzionalità. Allo stesso modo, interi quartieri cambiano pelle e si ridisegnano».

Tibaldi ha scelto di vivere in Barriera di Milano per costruire una mostra che nasce dal contatto con gli abitanti, intesi come “ossatura” del quartiere stesso e attivatori diretti della trasformazione sociale-economica ed estetica che vi è stata e che è in atto in questi anni.

Il percorso espositivo racconta attraverso oggetti, storie e persone un cambiamento che, come afferma l’artista «reca le tracce di tutti i passati e di tutte le culture».

Tibaldi utilizza oggetti dimenticati e dismessi, a cui dona una seconda possibilità di lettura, “miscelandoli” sia con i suoi lavori più recenti, sia con opere appositamente pensate per la mostra. Ne risulta un progetto espositivo in cui i dati di partenza non sono utilizzati mai in chiave archivistica, ma rielaborati come se fossero colori di una tavolozza con cui tracciare un dipinto, una linea utopico-analitica del momento storico in cui viviamo.

La mostra è parte di un progetto triennale che presenta al pubblico una fra le più importanti raccolte di fotografia a livello nazionale: la Collezione Guido Bertero.

Da Berengo Gardin a Giacomelli, Migliori, Patellani, fino a Ghirri e Fontana, senza dimenticare la stagione dei “paparazzi” alla Secchiaroli, questa collezione racconta la storia italiana, fra società e costume. Un fondo costruito negli anni con coerenza e acume critico che, fin dai primi anni, ha accostato i grandi nomi della fotografia italiana a quelli della fotografia internazionale come Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Paul Strand, Walter Evans. La prima tappa di questo focus riguarderà la fotografia italiana del secondo dopoguerra.

La fotografia Neorealista. Trasmigrazioni dalla realtà rurale alla nuova prospettiva metropolitana 1945-1968 racconta i cambiamenti sociali e urbanistici che hanno riguardato il nostro Paese. Un documento visivo, costituito da oltre un centinaio di scatti vintage, che ritrae un’Italia in continuo cambiamento. Sono gli anni dei viaggi da sud a nord, la ricostruzione, il boom economico. Anni di vitale importanza che hanno definito il carattere e l’identità italiana e che oggi, più che mai, si configurano di estrema attualità per la presenza dei temi affrontati: le migrazioni, le trasformazioni urbanistiche.

Un periodo d’oro dell’arte italiana, con cui il Paese si impone nell’immaginario collettivo internazionale. Un processo messo in atto proprio dai linguaggi “neorealistici” della fotografia e del cinema. È quello che riescono a fare registi come Rossellini, De Sica, Visconti, Germi, Castellani, Lattuada e che va di pari passo agli scatti fotografici di quegli anni.

In mostra, il racconto del cambiamento: dalle stazioni del Sud ritratte da Enzo Sellerio, dalla Puglia di Mario Giacomelli, all’Emilia di Nino Migliori, fino ai ritratti dei braccianti di Fosco Maraini e i minatori di Federico Patellani.

Dustmuseum.org è il titolo sotto il quale dal 1970 Piero Livio seleziona, raccoglie e assembla scarti e rifiuti destinati all’oblio; la variazione di contesto, di punto di vista, offre agli oggetti una nuova identità, una rinnovata dignità, un’occasione di riflessione, quasi un istante di eternità. I quasi cento oggetti in mostra sono la piccola parte emergente dell’intera produzione organizzata e catalogata sistematicamente negli anni.

Gli oggetti, costruiti con contributi occasionali, assemblati con fragili legature organiche di mollica, cera d’api e sottili fili di rame, sono racchiusi in ampolle e teche reali o spazi virtuali che tendono a stabilizzare questa nuova realtà.

“In una lama di sole, milioni di oggetti volanti emergono dal nulla, un polveroso universo, una ricchezza celata di differenti nature, colori, misure, tensioni, attrazioni, pulsioni; un pacato caotico vortice, un parabolico andare in cerca di pace che pace non è. Il rumore inudito del ribollir silenzioso del fiato terreno; quel fiato presente, impalpabile, assente, trasporta la vita, la fortuna, il destino, un granello piccino, l’intero universo che porta con sé.”

Mostre, incontri, cantieri didattici aperti al pubblico: per tutto il mese di settembre al MEF – Museo Ettore Fico arriva il CCR – Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”.

Bellezza senza tempo è il primo appuntamento di un protocollo d’intesa firmato da MEF e CCR che prevede lo sviluppo congiunto di progetti interdisciplinari per la valorizzazione, conservazione e divulgazione del nostro patrimonio artistico. Attraverso una programmazione di mostre ed eventi, il MEF ha come obiettivo quello di favorire l’accesso dei cittadini alla cultura, ampliando il bacino di utenza attraverso collaborazioni con altre realtà culturali, favorendo così uno scambio di pubblico di target diversificati.

Il CCR da oltre dieci anni si dedica alla conservazione e al restauro del patrimonio artistico, svolge attività di ricerca scientifica e tecnologica e ne diffonde i risultati attraverso la formazione, la pubblicazione e il trasferimento delle innovazioni sperimentate durante lo svolgimento delle proprie attività.

Dall’incontro di queste competenze nasce Bellezza senza tempo, il primo di un ciclo di eventi che vedrà dialogare arte antica e contemporanea, teoria e divulgazione del restauro e cantieri didattici. Un’occasione per conoscere e approfondire il tema della conservazione delle opere di arte contemporanea anche per un pubblico non specializzato.

Tutti gli appuntamenti segnalati sul comunicato completo.

Il lavoro di Antje Rieck esamina l’idea di trasformazione, trascendenza e metamorfosi, posizionando il corpo umano come un recipiente poroso in dialogo con il suo ambiente.

La sua pratica investiga la struttura con e attorno allo spazio formato dalla biografia del tessuto sociale. Nelle installazioni scultoree e specificamente allocate, l’artista utilizza materiali organici come il marmo, il legno e la pietra e altri media, tra i quali la fotografia, il video, l’animazione digitale, e la performance.

Il processo investigativo dell’artista è caratterizzato da diversi livelli di percezione che lei definisce Experimentierfelder (campi di sperimentazione) o Spielfelder (campi di ricreazione) che creano un riferimento geografico visibile all’immaginario dell’infinito.

Nelle sue ultime investigazioni, la Rieck esplora la crescita cristallina e le sue proprietà uniche in economie cristalline, tra le quali l’esperimento CrystalGrowingStation, i cui confini potranno essere esplorati nella mostra al MEF. Una costellazione di sistemi aperti e chiusi di materie varie, manipolati e non, orchestrando una geologia di spazi, che mappano una percezione che coreografa l’architettura del museo in tesori rinnovati e rinnovabili di coscienza.
Parte della mostra morfologica sarà l’introduzione al pubblico di LightHenge.

Il progetto di tale opera pubblica per la città di New York consiste di tre sculture composte da pannelli acrilici, in acciaio inox e cristalli coltivati. Il progetto è stato approvato per l’installazione all’East River Park di Manhattan all’inizio dell’autunno 2016.

L’artista ha vinto diversi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio Cesare Pavese per la Scultura (1997) e la nomina al Premio Targetti (2003). Le mostre di Antje Rieck includono, illuminations d’eau, Fondazione Mario Merz, Torino (2006/2008); “GLASSTRESS 2011”, 54esima Esposizione Internationale d’Arte della Biennale di Venezia; Seeing through Abstraction, RU Residency Unlimited, New York (2015).

Le sue commissioni pubbliche includono The mark of the Chemist: A Dialogue with Primo Levi, Fondazione Primo Levi/Teatro Stabile, Torino (2011) e Intrave, Monumento in Memoria ai Martiri delle Fosse Ardeatine, Roma (2006).

Con un centinaio di opere tra disegni, dipinti, fotografie, fotomontaggi e collage, corredati da documenti d’epoca provenienti dall’archivio dedicato all’artista, viene presentato in Italia, per la prima volta in modo sistematico, il lavoro pittorico di Florence Henri in parallelo con le opere fotografiche.

Si offre in questo modo al visitatore la possibilità di analizzare le interazioni tra le diverse forme di espressione e la comprensione del suo percorso artistico nella sua ricchezza e complessità.

Nata nel 1893 a New York, Florence Henri ha attraversato il Novecento obbedendo sempre e solo al suo incondizionato spirito creativo. Coerente solo a se stessa, tra astrazione e figurazione, tra fotografia sperimentale e collage, tra lavoro in studio e in esterni, il suo percorso artistico si snoda superando le apparenti contraddizioni e mantenendo costante un alto livello qualitativo. Artista nel profondo, la Henri si appropria con maestria e lucidità di tecniche e modalità espressive che soddisfino di volta in volta la sua esigenza di produrre rappresentazioni capaci di andare oltre l’evidenza.

La figura di Florence Henri, il cui ruolo di protagonista di primo piano era riconosciuto sulla scena artistica internazionale a lei contemporanea, si offre con questa ampia e inedita esposizione per l’Italia come paradigma di modernità, affermazione di una soggettività ricchissima e incapace di compromessi, immune dalle convenzioni sociali del tempo.

Da Londra a Roma, da Parigi a Berlino, dal Bauhaus alle coste del Mediterraneo l’artista ha spinto la sua ricerca in totale libertà sulle proprie forze e capacità, passando liberamente da un medium all’altro con coerenza e felicità espressiva.

Il lavoro di Truly Design declina in chiave contemporanea un fenomeno ottico, l’anamorfosi, sperimentato sin dal XV secolo da artisti del calibro di Leonardo da Vinci e Hans Holbein.

La mostra Truth depends on where you see it from documenta i risvolti più recenti dell’indagine estetica e poetica del collettivo, oggi focalizzata sull’astrazione geometrica messa in relazione con l’architettura e lo spazio urbano.

Partendo dalle riflessioni rinascimentali sulla sezione aurea di Fra’ Luca Pacioli nel De Divina Proportione, con un particolare sguardo verso l’opera di Leonardo da Vinci, il collettivo pone in dialogo l’esito di queste antiche ricerche con lo spazio architettonico del MEF, in sintonia cromatica e compositiva con i lavori astratti di Florence Henri, oltre a László Moholy Nagy, El Lissitzky e Josef Albers.

L’astrazione anamorfica proposta si sposa con l’architettura del MEF, sia per la condivisione di un linguaggio visivo comune, fatto di forme geometriche minimali, sia per il destino che accomuna il collettivo allo spazio museale.

Il MEF nato dalla riqualificazione di un ex complesso industriale, oggi investito di un importante ruolo culturale, è speculare al percorso del collettivo Truly Design, che colloca i suoi primi graffiti alla fine degli anni ’90, proprio sulle mura dei ruderi dell’architettura industriale torinese e si affaccia adesso sullo scenario dell’arte contemporanea.

Il museo sempre attento a porre in relazione autori moderni e contemporanei nel tentativo di instaurare un dialogo tra sensibilità, figlie di tempi diversi, anche in questo caso metterà a confronto linguaggi classici propri dell’arte moderna all’estetica matematica e cromaticamente composta di Truly Design. Attivo da oltre vent’anni nel campo della street art, il gruppo di urban artists realizza per il MEF tre anamorfosi site-specific negli spazi del Museo ed espone nella caffetteria/bistrot B+ARS i rispettivi bozzetti grafici originali e il video in time-lapse del work-in-progress.

I paradisi ritrovati di Ettore Fico sono boschi incontaminati, paesaggi collinari, vigneti, pergolati e soprattutto giardini fioriti, ricolmi di tonalità variopinte che brulicano vivide e squillanti sulla superficie pittorica. L’assunto fondamentale da cui scaturisce il percorso della mostra è la sintesi di un ideale “manifesto programmatico” dell’artista.

Quest’ultimo, nonostante la naturale e fisiologica maturazione stilistica che accompagna l’evoluzione della poetica individuale, ha infatti dimostrato una sorprendente coerenza di intenti conservando intatto, durante oltre sessant’anni di attività, un proposito fondamentale: quello di trasfigurare la natura attraverso una sorta di “astrazione irrisolta”, sondando cioè la profondità delle cose senza smarrirne la presenza ontologica, fattuale e, restituendone in definitiva, un’immagine filtrata dalla propria capacità di rielaborazione a posteriori.

Attraverso un corpus di opere fondamentali, la mostra intende narrare la storia di un cammino personale, partecipato ed emotivamente intenso.

La mostra documenta l’intera produzione pittorica dell’artista con oltre novanta opere dall’Espressionismo lirico alla ricerca sul colore e sulla luce, oltre che due temi fondamentali della sua indagine: la figura e il rapporto con la natura.

Il percorso espositivo muove dagli esordi di Birolli nella Milano degli anni Trenta intorno al critico Edoardo Persico; prosegue attraverso la stagione realista di Corrente di cui è protagonista e giunge infine agli esiti astratti e informali degli anni Cinquanta, in cui la pittura dell’artista entra in risonanza con l’Espressionismo astratto americano.

Protagonista engagé della vita e del dibattito artistico italiano nei decenni centrali del Novecento, Birolli ha fatto del lirismo cromatico la chiave di una lettura allo stesso tempo critica e poetica del reale, unendo la sensibilità veneta del colore con la lezione di Van Gogh e Cézanne, come annotava nei Taccuini nel 1936:

« Il colore non è materia, è nucleo emozionale. »

Sono esposti i principali capolavori dell’artista provenienti, oltre che dalla collezione Birolli e dalle maggiori collezioni private italiane ed europee, da istituzioni e musei italiani: la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Museo del Novecento di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, la Galleria d’arte Moderna di Udine e la Collezione Banca Intesa.

Completano il percorso documentazioni e foto d’epoca che provengono dal fondo dell’Archivio milanese e dall’Associazione Renato Birolli recentemente costituita. Accompagna la mostra un catalogo con testi di Elena Pontiggia e Viviana Birolli in cui vengono pubblicati, per la prima volta, documenti inediti del «Fondo Renato e Rosa Birolli», conservato a Firenze presso il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux.