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2021

Nebojša Despotoviċ

The Golden Harp

a cura di: Andrea Busto
date: da settembre a giugno 2021

La mostra
Nebojša Despotoviċ Džeparoši sa bajlonove pijace (Pickpockets from Bajloni market), 2019

Le opere di Nebojša Despotoviċ sono inesorabilmente avulse da un contesto riconoscibile e, anche se tutte ci appaiono come estranee alla nostra vita, molte parlano di esperienze che riconosciamo, risultando come riflesse in uno specchio annebbiato ma famigliare.

I personaggi/attori che le popolano recitano parti in cui l’artista stesso si immedesima, a tal punto, da assegnare dei nomi o dei nomignoli alle figure mentre le dipinge. Il fatto poi che sembrino personaggi in costume, li fa sembrare ancora più reali perché trasposti in un mondo senza tempo, senza precisi riferimenti al nostro vissuto e tutto appartiene a un momento infinito nella grande commedia della vita.

“Mi sono chiesto talvolta se tutti questi uomini e donne e, sopratutto, bambini, fossero scaturiti dal mondo ebraico polacco dopo o immediatamente prima dei bombardamenti tedeschi a Varsavia, se fossero figli di una Londra sovradimensionata, o di anonime comparse del Novecento di Bertolucci.”

Ogni sua opera, esaminata in profondità, appare come un’appropriarsi di mondi e poetiche altrui. Appare in alcune il mondo erotico di Scipione, la materia sovrapposta di Picabia e tutta la derisione del mondo borghese di Bunüel di Le chien andalou o del Fascino discreto della borghesia, appare anche lo stravolgimento espressionista del Dottor Caligari di Robert Wiene ma anche quello di Murnau, Lang e Pabst. I collegamenti sono quindi infiniti – il gioco di domino o di cadavre esquis, in cui una tessera si accompagna a un’altra e ne genera una terza e poi una quarta e così via, come le associazioni psicologiche in cui lo psicanalista ti chiede di associare immagini a altre immagini – così il lavoro dell’artista opera nella sua mente associazioni e legami formali, concettuali ed estetici che vanno “a briglia sciolta”, in modo automatico, metaforico, come in una scrittura mescalinica di immagini simili e conseguenti.

Egli si immerge mentalmente nel racconto dipinto sulla tela, per poi estraniarsene e, facendo un passo indietro, riassumere la veste del creatore e quindi regista della scena. Il teatro, la pittura, la persona, i personaggi, il regista e gli attori, i ruoli e la vita, veri o falsi che siano vivono in un balletto mentale e reale che si esprime oltre la tela/sipario/fondale, oltre lo studio dell’artista, ma anche tutto dentro la sua mente.

Soprattutto gli interni, i salotti delle case raffigurate, sono scenografie di quinte teatrali dove si potrebbe recitare Ibsen (Casa di bambola), James (Ritratto di signora) ma anche Beckett (Aspettando Godot) e Jarry (Ubu Roi). Questi interni borghesi in cui vi è sempre una lampada, un tavolino, poltrone ridondanti, tappeti e lampadari, sono lo stereotipo della casa borghese, del luogo anonimo e incolore, pensati per lasciare più spazio alle tragedie familiari che non hanno bisogno di interni raffinati e di oggetti scelti e personali, di quadri importanti e di autori riconosciuti. Il luogo assume lo stato di “non luogo”, di deserto ammobiliato, potrebbero essere dune di sabbia di un deserto o rocce di montagna. Questi non luoghi sono la scenografia per i personaggi raffigurati che potrebbero, in modo fantasmatico, trasmigrare da un’opera all’altra.

Questa “famiglia”, disseminata per tutte le opere, si conosce e si riconosce attraverso lo sguardo dell’artista e, per associazione, anche nel nostro. Le assonanze e le similitudini ci appaiono, dopo aver guardato tutta la sua produzione, come evidenti: fratelli separati in una tela vengono ricongiunti in un’altra; partenti dispersi si ritrovano proprio in quei salotti piccolo borghesi ritagliati in colori monocromi secondo la lezione della Stanza rossa di Matisse; animali e vicini di casa, artigiani ubriachi, burattini e burattinai legnosi, macellai e saltimbanchi stravolti si assommano in scene della stessa pièce teatrale ripresa in infinite recite sul suo palcoscenico. Appare quindi tutto il corpus delle opere come un lungo e ininterrotto racconto dovstojevskiano in cui i personaggi raffigurati appaiono e scompaiono da un capitolo all’altro popolando un mondo in cui arbitrariamente lo spettatore mette in scena la propria analisi e il proprio psicodramma. Queste opere appaiono, oltre alla struggente bellezza dei dipinti in quanto tali, come tavole di Rorschach. Il lusso, la calma, la voluttà e la gioia di vivere di matissiana memoria, con il parossismo e gli eccessi contemporanei, appaiono evidenti in questo popolo orgiastico e pagano in cui nulla riporta alla classicità ma al nostro tempo reale traslato nella scena di una commedia con una regia ben calibrata.

Biografia
Nebojša Despotoviċ è nato a Belgrado, Serbia nel 1982. Vive e lavora tra Treviso e Venezia.

Egli attinge a piene mani dal patrimonio iconografico collettivo e personale recuperando vecchie fotografie e immagini. Ritagli di giornali, libri, manuali e riviste diventano il punto di partenza dal quale l’artista costruisce le proprie opere. La ricerca di Despotoviċ, attenta alla definizione e alla rappresentazione del concetto di identità, sottrae solo apparentemente le immagini all’oblio del tempo. Ricoperte e alterate con la pittura, le scene narrate acquisiscono un carattere indefinito e inattuale, ricondotte ad un tempo remoto.

  • Nel 2011 ha partecipato alla prestigiosa residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa ed è stato selezionato per la 54a Biennale di Venezia a rappresentare le Accademie Italiane all’Arsenale. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi.
  • Nel 2012 ha vinto il Premio Euromobil Under 30 ad ArteFiera di Bologna e il premio Mango Young Artist Award alla fiera Swab di Barcellona.
  • Nel 2013 ha vinto il Premio Celeste per la sezione sperimentale Raw Zone ad ArtVerona
  • Nel 2015 ha vinto il premio speciale Art Prize ad ArteFiera di Bologna e nel 2016 il premio Rotary Prize ad ArtVerona.
  • Nel 2017 ha esposto alla Galleria Monitor di Roma con la Fondazione Malutta. A maggio 2017 ha inaugurato la sua mostra personale a Mosca da Triangle Gallery e a settembre 2017 la sua personale a New York da Ierimonti Gallery.
  • Nel 2018 ha presentato la terza personale da Boccanera Gallery Trento e Milano The Devil and the Deep Blue Sea ovvero freie Kartoffeln.
  • Nel 2019 è stato selezionato come finalista alla ventesima edizione del Premio Cairo, presentato al Palazzo Reale di Milano.

Ha partecipato a numerose mostre in spazi pubblici e privati. A febbraio 2014 ha presentato la sua seconda mostra personale Silent Fracture, Trento. A maggio cura 2014 di è Maja stato Ciric, ospite da Boccanera Gallery. Del Museo di Capodimonte a Napoli per il talk intitolato Still life of Nebojša Despotoviċ curato da Angela Tecce, direttore del Museo di Castel Sant’Elmo, e Eugenio Viola, Chief Curator al Museo de Arte Moderno de Bogotá MAMBO.

Catalogo:
Mostra realizzata in collaborazione con
NOTE:

Testi in catalogo: Andrea Busto, Eugenio Viola