Archivio per: 2019

La performance Sulla retta via, realizzata da Filippo Berta nel 2014 e ora esposta nel project-space del Museo Ettore Fico, mostra una fila di persone che si muove lungo il bagnasciuga di una spiaggia deserta.

Ciascuno è concentrato sui propri passi provando a seguire il labile confine definito dalle onde, che creano una effimera traccia in cui si congiungono gli elementi, acqua e terra, uniti e separati nello stesso momento: il tentativo dei singoli individui, di comporre una linea perfetta sulla fila delle onde, è però un obiettivo che rimane irraggiungibile visto che la forma ricercata si spezza di continuo.

Questa impossibilità è causata dai movimenti perpetui e irregolari del mare, che divengono una metafora suggestiva dell’impossibilità dell’uomo di trovare un equilibrio tra la propria indole intuitiva-emotiva, e il ruolo della società che ne condiziona e corrompe l’essenza individuale.

Questo stato di continua tensione sta al centro dell’analisi di Filippo Berta che indaga, tramite micro-narrazioni di performances messe in atto da persone comuni, quella particolare condizione umana che tra restrizioni, meccanismi e dinamiche della società svela un dualismo inconciliabile, qui rispecchiato.

L’essere umano viene (de)formato dalla società che penetra le coscienze individuali e condiziona i comportamenti mentali, indirizzando l’individuo verso ruoli standardizzati e verso una competizione intrinseca. Evidenziando la tensione e l’abisso esistenziale che nasce sulla base di questo dualismo, con il lavoro di Filippo Berta ci si avvicina quindi alla ricerca delle cause e delle condizioni di queste mutazioni, ma anche all’individuazione di una natura profondamente umana.

Il progetto site-specific di Angiola Gatti realizzato per il MEF in occasione della settimana delle arti contemporanee a Torino propone, per la prima volta, un lavoro tridimensionale.

Da alcuni anni infatti l’artista compone sul tavolo del suo studio, o più raramente all’aperto, delle composizioni effimere di materiali vari, soprattutto vetri. Dopo un po’ di tempo ha incominciato a fotografare le composizioni prima di disfarle e questa traccia fotografica sta diventando un nuovo elemento di ricerca. Nel caso del lavoro posto nel cortile del museo, circondato da una cortina di piccoli alberi, gli elementi di ferro e vetro sono fissati su di una base, anch’essa in ferro, ad un’altezza per cui lo spettatore guarda leggermente dall’alto.

Al MEF sono esposte una tela di grande formato e alcune opere su carta di medio formato eseguite principalmente con le biro, un modo di lavorare che, pur nei continui cambiamenti, è peculiare nel lavoro di Angiola Gatti e che la caratterizza fin dall’inizio degli anni Novanta.

Completa l’esposizione una fotografia delle composizioni effimere realizzate con i vetri. Il titolo “Particles” fa riferimento all’energia materiale e mentale e suggerisce un processo, un divenire. I segni, di qualunque natura, formano delle immagini che abitano uno spazio molto più grande di quello misurabile.

Il Museo Ettore Fico ha il piacere di presentare, per la prima volta a Torino, un percorso estremamente significativo all’interno della vastissima collezione di Ernesto Esposito: stilista di fama internazionale, ha collezionato – e continua a farlo tutt’ora! – importanti opere dei più grandi artisti contemporanei spaziando dalla fotografia all’installazione, dalla pittura al video fino a opere monumentali, con una grande poliedricità e intuito anticipatore.

Noto in tutto il mondo per le sue collaborazioni nella haute couture (Marc Jacobs, Sergio Rossi, Sonia Rykiel, Louis Vuitton, Fendi, ecc.) Ernesto Esposito è anche un instancabile ricercatore che opera in stretto contatto con le gallerie più influenti del settore.

Globe trotter infaticabile, a partire dagli anni Ottanta ha conosciuto e frequentato artisti quali Cy Twombly, Joseph Beuys, Andy Warhol, Helmut Newton, solo per citarne alcuni. Il privilegio dell’amicizia con tutti loro gli ha permesso di realizzare una delle collezioni di arte contemporanea più importanti e poliedriche, da cui sono state selezionate le opere per la mostra ME TWO che, a sua volta, si articola in due sezioni distinte: Some people e Brasil!.

Il titolo della mostra, ME TWO, parafrasa per assonanza la famosa frase “me too” che ha segnato una svolta contro lo stolking femminile e venne coniata nel 2017 in forma di hashtag in occasione dello scandalo holliwoodiano che vide come protagonista il produttore Harvey Weinstein incriminato di molestie sessuali alle attrici che lavoravano per lui. Il titolo allude inoltre a una duplicazione della personalità/possibilità collezionistica.

La seconda, Brasil!, è un’avvincente ricognizione all’interno dell’arte contemporanea brasiliana degli ultimi vent’anni e ne documenta il vasto panorama artistico, ricco ed effervescente.

La mostra, il cui titolo Brasil! è un riferimento all’omonimo film di Terry Gilliam del 1985, si propone come un focus sulle ultime generazioni di artisti brasiliani che hanno segnato una svolta e delineato, nel panorama internazionale, nuove vie e nuovi percorsi, ponendosi come una vera e propria scuola e corrente. Il Brasile, terra immensa, vasta e variegata, ha identità estremamente differenti, così come la sua arte. Il territorio, con le sue differenze che siano urbane, periferiche o derivanti dalla lussureggiante foresta pluviale, ha dato vita a riflessioni che, per la loro complessità, interessano il Mondo intero. La peculiarità degli artisti è quella di vivere in un territorio ricco di storia e tradizioni, di contraddizioni e poesia, dove gli influssi dell’arte internazionale si fondono e si trasformano in una poetica intrisa di estetica sud americana.

I profumi della terra e dei fiori, la “saudade” della bossa nova e il brio eccitante della samba, l’improbabile architettura delle favelas e la razionalità della capitale Brasilia disegnata da Oscar Niemayer, si mescolano e si confondono attraverso la specificità dei materiali utilizzati dagli artisti che sono desunti direttamente dalla natura e dalla produzione industriale: le spezie per Ernesto Neto, la terra e il legno per Matheus Rocha Pita, i semplici oggetti di uso domestico e comune (amache o stoviglie o pentole) per Opavivarà!.

L’estrema fortuna critica e il grande interesse per l’arte brasiliana, esplosi negli ultimi anni, sono sicuramente imputabili a un momento economico positivo, durato vent’anni, che è sfociato nei Giochi Olimpici a Rio del 2016 e che hanno permesso alla città e alla sua economia di rifiorire grazie ai colossali investimenti economici per edifici legati ai Giochi e al proliferare di cantieri dedicati all’urbanismo di civile abitazione. È anche vero che le contraddizioni del Paese sono enormi e la stessa classe politica è stata – e lo è tuttora – sotto accusa per brogli e corruzione. Le Olimpiadi hanno anche segnato la fine di un sogno e ora il Brasile soffre di una crisi economica fortissima.

Gli artisti, cartina al tornasole dei cambiamenti e delle criticità epocali, registrano e creano lavori intensamente evocative dello stato sociale del Paese a cui appartengono. La loro sensibilità converge nella produzione di opere non solo estetiche ma, soprattutto, dense di problematiche politiche ed economiche. Molti degli artisti provenienti dalla collezione Esposito sono conosciuti, apprezzati e collezionati da importanti musei e fondazioni internazionali e sono rappresentati dalle maggiori gallerie che hanno influenza sui mercati e sul gusto del nostro secolo.

La raccolta di opere esposta a Torino è quasi interamente legata alla produzione degli ultimi vent’anni e rappresenta uno spaccato culturale estremamente pertinente e incisivo dell’arte brasiliana.

Il Museo Ettore Fico ha il piacere di presentare, per la prima volta a Torino, un percorso estremamente significativo all’interno della vastissima collezione di Ernesto Esposito: stilista di fama internazionale, ha collezionato – e continua a farlo tutt’ora! – importanti opere dei più grandi artisti contemporanei spaziando dalla fotografia all’installazione, dalla pittura al video fino a opere monumentali, con una grande poliedricità e intuito anticipatore.

Noto in tutto il mondo per le sue collaborazioni nella haute couture (Marc Jacobs, Sergio Rossi, Sonia Rykiel, Louis Vuitton, Fendi, ecc.) Ernesto Esposito è anche un instancabile ricercatore che opera in stretto contatto con le gallerie più influenti del settore.

Globe trotter infaticabile, a partire dagli anni Ottanta ha conosciuto e frequentato artisti quali Cy Twombly, Joseph Beuys, Andy Warhol, Helmut Newton, solo per citarne alcuni. Il privilegio dell’amicizia con tutti loro gli ha permesso di realizzare una delle collezioni di arte contemporanea più importanti e poliedriche, da cui sono state selezionate le opere per la mostra ME TWO che, a sua volta, si articola in due sezioni distinte: Some people e Brasil!.

Il titolo della mostra, ME TWO, parafrasa per assonanza la famosa frase “me too” che ha segnato una svolta contro lo stalking femminile e venne coniata nel 2017 in forma di hashtag in occasione dello scandalo holliwoodiano che vide come protagonista il produttore Harvey Weinstein incriminato di molestie sessuali alle attrici che lavoravano per lui. Il titolo allude inoltre a una duplicazione della personalità/possibilità collezionistica.

La prima, Some people, ci conduce in un ampio percorso che rappresenta e analizza la storia della fotografia da Von Gloeden ai giorni nostri, da un punto preciso di rottura degli schemi sociali, sessuali e di identità di genere. Da Von Gloeden a Mapplethorpe, da Helmut Newton e Bruce Weber, fino a Cindy Sherman, Thomas Ruff, Wolfgang Tillmans e Thomas Struth.

Per Ernesto Esposito, la fotografia è innanzitutto una grande passione e parte essenziale della sua vita e quindi della collezione stessa. Frutto di acquisizioni in gallerie, ma anche di rapporti personali di amicizia con i maggiori artisti del nostro tempo, la mostra si compone di un cospicuo numero di opere – fotografie originali, stampe vintage, in formati diversi anche di grandi dimensioni – raccolte nel corso degli anni con intenti e criteri diversi.

Se l’incontro con Jack Pierson è diventato una sorta di collaborazione “sul campo”, altre opere rappresentano invece una metafora esistenziale, come una sorta di partecipazione a un club, a una congregazione, a un gruppo identitario, a una setta in cui gli adepti si riconoscono e si apprezzano identificandosi per sensibilità ed estetica comune.

La scelta documenta praticamente l’intero sviluppo della ricerca fotografica d’avanguardia, con un focus particolare sugli autori che hanno maggiormente contribuito a definire l’ambito specifico della fotografia nell’arte contemporanea.

L’obiettivo della mostra è di raccontare, attraverso lo sguardo acuto del collezionista appassionato come, da mera forma documentaria, la fotografia si sia affermata a linguaggio autonomo parallelo alla pittura, alla scultura, al disegno e come da sempre sia in dialogo, anche conflittuale, con le altre discipline artistiche.

100%Italia è una mostra dedicata agli ultimi cento anni di arte italiana, dall’inizio del Novecento ai giorni nostri. Con un percorso storico esaustivo, il progetto è l’occasione per evidenziare il ruolo preminente dell’arte italiana, che ha saputo segnare profondamente la creatività europea e quella mondiale.

Ogni anno e ogni decennio sono stati contraddistinti da forti personalità che hanno influenzato l’arte del “secolo breve” e oltre; nessuna nazione europea ha saputo infatti offrire artisti e capolavori, scuole e movimenti, manifesti e proclami artistici con la continuità dell’Italia.

In un momento in cui il valore identitario di una nazione deve essere ripreso, riconfermato e ribadito, non per prevaricare, ma per aiutare la comprensione della storia, 100%Italia vuole fare il punto e riproporre evidenti valori che per un tempo troppo lungo molti critici hanno sottovalutato.

Gli artisti considerati come capisaldi della cultura internazionale verranno esposti, ognuno con una o più opere rappresentative del proprio percorso e del periodo storico di appartenenza. La grandezza dei maestri si potrà quindi percepire in un unicum e in una sequenza espositiva che faranno fare al visitatore un viaggio straordinario lungo cent’anni.

100%Italia ha collaborato con collezioni e archivi di musei, di fondazioni, di gallerie pubbliche e private e di collezionisti che insieme hanno costruito un evento unico nel suo genere.

Il Museo Ettore Fico si è avvalso della collaborazione e del supporto strategico dell’Associazione Nazionale delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea – che raggruppa circa 160 gallerie in tutta Italia – , dell’Associazione Fondazioni e Casse di Risparmio Spa – che rappresenta circa 30 Casse di Risparmio e 88 Fondazioni di origine bancaria sul territorio nazionale – nonché di Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, che hanno attivato la ricerca di un insieme di opere importanti, spesso mai esposte, al fine di offrire una mostra pressoché inedita per il grande pubblico nazionale e internazionale.

Il Museo Ettore Fico ha il piacere di presentare una mostra dedicata al grande fotografo Gabriele Basilico. Corpus centrale della mostra è una sezione commissionata al fotografo dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia nel 2010, in occasione della retrospettiva dedicata al grande incisore veneto: “Le arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer” a cura di Michele De Lucchi, Adam Lowe e Giuseppe Pavanello.

In quell’occasione la Fondazione Cini chiese all’artista di ritrarre, dalle stesse angolazioni delle incisioni piranesiane, la “città eterna” e altri luoghi italiani.

Il risultato fu riassunto in 32 scatti messi successivamente a confronto con le 32 incisioni di Piranesi. Una vasta selezione di oltre cinquanta fotografie, di differenti formati, completa la mostra che, per la prima volta in Italia, esamina la poetica urbana e concettuale del grande fotografo attraverso le immagini scattate nei suoi innumerevoli viaggi.

Con la mostra “Ettore Fico. Opere di grande formato” il MEF, a più di quattro anni dalla sua apertura, dedica al maestro uno spazio permanente nelle sale del primo piano.

Il progetto è quello di creare uno spazio dedicato all’artista con opere esposte a rotazione per poter mostrare al pubblico la vasta collezione di opere disponibile.

Ricordiamo che il museo ha preso vita grazie alla grande lungimiranza e determinazione della moglie dell’artista, Ines Sacco Fico, scomparsa lo scorso anno, che con la creazione, quindici anni or sono, dell’omonima fondazione e poi, nel 2014, del museo, ha voluto lasciare alla città un segno indelebile dell’opera dell’artista.

Saranno esposte un centinaio di opere, tra oli e tempere, eseguiti dai primi anni Trenta al 2004, anno della sua scomparsa. La produzione più significativa di Ettore Fico è dunque raccolta in questa mostra che percorre tutta la sua carriera. La mostra è un omaggio all’artista e al suo vivace percorso artistico ed esistenziale: gli anni cinquanta e sessanta in Italia, la natura, la Liguria e la Costa Azzurra, la campagna di Castiglione Torinese, rifugio tanto amato e protagonista in molte delle sue opere.

Un’arte che affonda le radici in una dimensione legata alle straordinarie esperienze della pittura internazionale e a un’interpretazione degli oggetti e dei paesaggi permeata da un senso di poesia. In molte sue opere si avverte il fascino raccolto e misterioso del suo giardino a Castiglione, luogo di incontro ma anche rifugio e magico luogo di silenzi, punto di riferimento e racconto dell’avvicendarsi delle stagioni con le sue luci e colori. Presente in importanti mostre dal primo Dopoguerra in poi, ha partecipato a numerosi eventi espositivi quali la Quadriennale di Torino e la VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma nel 1955.

La mostra propone gli aspetti più inediti e di ricerca del percorso artistico di Ettore Fico, dalle esperienze astratte a quelle più geometriche, dalle impressioni delineate dai sottili tocchi di colore puro alle pennellate materiche e informali.